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Arezzo era una località strategica per gli Alleati, che avevano bisogno di un luogo il più vicino possibile a Firenze e alla Linea Gotica per impiantarvi tutte le basi logistiche e amministrative, venutesi a trovare, oramai, lontane dal nuovo schieramento; ma la posizione della città era ugualmente di grande importanza per i tedeschi e i repubblichini, quale perno di resistenza per ritardare il procedere degli avversari. Ad Arezzo gli approvvigionamenti alla VIII Armata furono trasportati su strada e ferrovia.

La città è circondata da tre lati dalle montagne e si rivelò agli alleati, una posizione particolarmente difficile da raggiungere. La linea naturale di avvicinamento ad Arezzo è marciare lungo la pianeggiante Val di Chiana. A metà giugno, mentre i tedeschi delle 10ª e 14ª Armata ripiegavano verso la Linea Gotica, i britannici del X Corpo si avvicinarono a Perugia. Dal 29 giugno ci fu un gran movimento da parte dei tedeschi; erano in ritirata truppe, carri armati, cannoni, mitragliere, autocarri e quant’altro. Testimoni del loro passaggio narrano che molti soldati mostravano chiaramente, nelle uniformi e nel viso, i segni delle battaglie e della disfatta. La ritirata durò fino al 3 luglio e nella notte fra il 2 e il 3, dove poterono, fecero saltare i ponti alle loro spalle.

Il 4 luglio gli Alleati giunsero a Cortona, ma dovettero attendere che anche alle ali le altre Unità avanzassero e solo il 15 luglio, il XIII Corpo dette inizio all’attacco definitivo per giungere a Arezzo, facendosi precedere da un nutrito bombardamento aereo. Furono due le Divisioni che avanzarono, la 6ª Corazzata dal lato della dorsale che separa la Val di Chiana dal senese, e la 2ª Neozelandese sulla destra, alle pendici del gruppo di monti che culminano a Lignano e fanno ala all’anfiteatro morenico nel quale sorge Arezzo. I tedeschi appartenevano a unità del LXXVI Panzer Korps della 1ª Divisione Paracadutisti, delle Divisioni di Fanteria 334ª e 719ª, nonché ad alcuni reparti della 15ª Panzer Grenadieren che, però, combatterono come fanti poiché non avevano a disposizione i mezzi corazzati.

Kesselring aveva ordinato di “Tenere Arezzo ad ogni costo” e lo fecero fino alla sera del 15 luglio, allorché iniziarono la graduale ritirata verso l’“Arno Line” e Firenze (raggiunta dagli Alleati il 4 agosto). Fu nelle poche settimane fra la fine di giugno e la seconda metà di luglio che si scatenò la barbarie nazi–fascista; le forze germaniche, infatti, erano affiancate dalle “Brigate Nere”, feroci repubblichini in funzione anti–partigiana e dei quali faceva parte l’aretina “Compagnia della Morte”. Gli appartenenti locali alla Repubblica Sociale Italiana, inoltre, erano rafforzati da repubblichini bergamaschi ed erano chiamati “i morticini” a causa del teschio che esibivano sul berretto. Così, a commento del libro di De Lazzari, Franco Giustolisi:

Divisa tedesca. Armi tedesche. Sul cinturone la sinistra fibbia con il teschio incrociato dalle ossa. L’unica differenza: le mostrine rosse sulla giubba. Uccisero i loro connazionali a Sant’Anna di Stazzema, a Marzabotto, a Fivizzano, a Bucine, a Cavriglia, a Civitella della Chiana e altrove. Ci sono le testimonianze dei sopravvissuti che hanno raccontato il loro stupore sentendo quei massacratori parlare la loro lingua, qualche volta addirittura con inflessioni locali. Si avventarono con i loro simboli di morte, che fecero diventare effettivi, su bimbi in fasce che potevano essere loro figli. Su donne che potevano essere loro madri o sorelle. Su vecchi, dell’età dei loro padri, che forse non erano mostri, ma mostri generarono. Sono, anzi erano, per fortuna, le SS italiane

Gli elementi locali e i loro camerati collaboravano attivamente con i germanici e furono anch’essi responsabili degli orrendi massacri che costarono alla popolazione dell’area aretina oltre 1.100 trucidati. Un freddo, enorme, numero che invita a vedere quel che c’è dietro: bambini ignari, miti donne e uomini che avevano conosciuto solo il lavoro e il rispetto per gli altri. L’otto giugno del 1944, per favorire l’avanzata degli Alleati, il Generale Alexander aveva ordinato ai Partigiani:

A quelli di voi che si trovano fra le nostre truppe avanzanti e la linea Pisa – Rimini. . . fate quanto è possibile per distruggere, ritardare, ingannare il nemico con tutti i mezzi. . . L’ordine è di non far saltare i ponti e di non danneggiare le strade. L’ordine è di molestare le truppe tedesche e di ostacolarne in particolare i trasporti. Per le zone suddette (litorali e Appennino) il comando è di uccidere i tedeschi, di distruggere i loro trasporti in tutte le maniere. . .  A quelli di voi che si trovano nei pressi della linea Pisa – Rimini: osservate attentamente quali misure difensive vengono prese dai tedeschi, dove costruiscono le loro piazzole, dove preparino i loro campi minati, quali ponti si apprestino a far saltare, dove si trovino i loro depositi di munizioni e di carburante

Fra i Partigiani c’erano anche ex prigionieri, militari Alleati e sbandati italiani, evasi dai campi di concentramento italiani di Anghiari e Laterina. Nella provincia di Arezzo, oltre alla Divisione “Garibaldi”, erano attive anche la Divisione “Arezzo”, la “Pio Borri” e la “Brigata Mameli”. Il XIII Corpo Britannico lottò duramente per raggiungere Arezzo. Contro le forze germaniche combatterono la II Divisione Neozelandese, la VI Divisione Corazzata britannica, la I Brigata Guardie, il 16/5 Lancers Regiment, la IV e VIII Divisione Indiana e altri Reparti minori. Queste forze avevano a disposizione centinaia di carri armati e cannoni. Il 9 luglio la Divisione Neozelandese ricevette l’ordine di staccarsi dal I° Corpo Canadese e avanzare per attaccare fra le montagne; nel frattempo i tedeschi effettuarono diversi contrattacchi, nel tentativo di riguadagnare l’iniziativa. Il 13 luglio il 9° Gurka della 4ª Divisione Indiana occupò il Monte Favalto, sul crinale che porta verso Lignano – la cima più alta, eretta a principale baluardo dai tedeschi – e avanzò attraverso i monti per minacciare l’“Arezzo Linie” e raggiungere la città da est, con cruenti scontri sia lungo la cresta dello stesso Monte Lignano, sia sull’Alpe di Catenaia.

Sul Monte Lignano, nella notte fra il 14 e il 15 luglio, mentre la 6ª Divisione Corazzata agiva dalla valle, i neozelandesi della 6ª Brigata di Fanteria, coadiuvati dai paracadutisti italiani dello “Squadrone F” (che, nella vicina località Corniolo, ebbe due morti), attaccarono il rilievo da sud, avanzando sui cocuzzoli denominati Castiglion Maggio (vi combatterono gli Argyll and Sutherland Highlanders e alcuni elementi del nostro Esercito), Poggio Cavadenti, Monte Altoviti e Monte Camurcina. Queste alture, che s’affacciano sulla Val di Chiana e consentono di vedere ogni movimento sulle vie di transito verso Arezzo, erano difese da soldati germanici appartenenti alla 305ª Divisione di Fanteria del 76° Panzer Korps e al 115° Reggimento della Divisione Panzer Grenadieren, che avevano sbarrato l’area antistante le postazioni di mitragliatrici, nascoste nelle cosiddette “Tane di volpe”, e con mine collegate a fili a strappo.

Sul crinale, dal 10 al 14 luglio, furono rovesciati torrenti di fuoco; fonti inglesi parlano di 800 colpi al minuto e i tiri erano eseguiti sulla base dei dati forniti dai ricognitori Alleati. Dopo il bombardamento con i cannoni si mossero i caccia bombardieri, gettando bombe, spezzoni incendiari e mitragliando le postazioni dei tedeschi che, in un loro rapporto, asserivano:

Abbiamo perso Monte Lignano. Da qui il nemico ha un’ottima visione di Arezzo, quindi non possiamo rimanere più a lungo…un attacco sarebbe molto costoso ed è fuori questione. . . feldmaresciallo Kesselring convenuto che con M. Lignano nelle mani del nemico dobbiamo ritirarci 

All’alba del 15 la cresta era conquistata e i neozelandesi la difesero per tutto il giorno, mentre dalla valle la Iª Brigata Guardie si era spinta come un cuneo tra le posizioni tedesche, costringendoli, nella notte, a ritirarsi pure da Altoviti e Camurcina.