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Sedes Materiea

La Cacciata dei diavoli da Arezzo è la decima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di San Francesco d’Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230×270 cm.

L’episodio appartiene alla serie della Legenda maior (VI,9) di Francesco d’Assisi: «Quando il beato Francesco vide sopra la città di Arezzo i demoni esultanti e al suo compagno disse: “Va’, e in nome di Dio scaccia i diavoli, così come dal Signore stesso ti è stato ordinato, gridando da fuori della porta”; e come quello obbedendo gridò, i demoni fuggirono e subito pace fu fatta».

A sinistra è rappresentata una grande cattedrale gotica in tutta la sua possanza architettonica. Oltre le mura della città sporgono le torri, costruite con colori chiari come cubi incastrati l’uno nell’altro, secondo una “prospettiva” intuitiva e non geometricamente allineata. Ricca è la descrizione dei dettagli architettonici, quali balconi, merli, altane, marcapiano e intarsi. A un terrazzo è appesa una campanella con una corda. In cima una torre, appesa a un’impalcatura lignea sta una grande campana, mentre su quella più alta, appena più a destra, si trova un ballatoio ligneo e un argano con appeso un uncino, usato per tirare su carichi di merci e materiali edilizi. Tre figure di passanti si intravedono affacciarsi dalle porte cittadine.

In alto, i diavoli scappano cacciati dal confratello, su ordine di Francesco, che è inginocchiato dietro di lui. Nella raffigurazione dei demoni, dalle ali di pipistrello, furono usati tratti legati all’immaginario popolare, non privi di componenti patetiche o burlesche. Da un punto di vista simbolico essi rappresentano le discordie che sfociavano nelle tante guerriglie urbane nell’Italia comunale. Visivamente appaiono contrapposti il mondo spirituale, sottolineato dalla cattedrale, di Francesco del suo compagno, e quello profano della veduta cittadina. Secondo gli studi di Bruno Zanardi e Federico Zeri, i volti dei protagonisti sono da riferire al cosiddetto “secondo capobottega”, che essi indicano in Pietro Cavallini e un altro maestro romano anonimo.

La storia recente ci narra di un’altra cacciata dei diavoli, sempre da Arezzo. L’unica differenza è data dal colore, quest’ultimi sono i Diavoli Gialli del 225° Reggimento Fanteria.

In un articolo uscito su Qn, pag. 5 in data 30 maggio a firma Alberto Pierini si parla del futuro della Cadorna, in pratica verranno effettuati dei lavori, detti di ammodernamento, che interesseranno la Palazzina di Comando.

Letteralmente:  

“E il via al cantiere è quello della demolizione. Non solo per poi ricostruire. Ma anche per aprire un varco tra il piazzale e via Garibaldi. Alla base del progetto c’è una maggiore permeabilità dello spazio urbanistico”

“In un colpo solo andranno giù la palazzina comando e la parete dei murales”

“Tra le soluzioni allo studio anche quello di lasciarne una traccia o almeno un ricordo. I dipinti, si sa, furono realizzati in una delle ultime edizioni di Icastica e hanno sempre trovato fior di difensori. La palazzina ha un suo pregio, oltre che quel filo di memoria che attraversa tante generazioni”.

“ E la Cadorna infila ormai decisamente la strada per la trasformazione. Quella che qualcuno, con manciata di enfasi, ha definito a volte la Piazza Grande del centro basso”

“Tra le poche linee comuni, anche quella di valorizzarne la funzione di piazza, con alberature, arredi urbani, mantenerne la funzione di cittadella degli uffici, ma rafforzandone l’appeal anche con un bar ristorante nel corpo di guardia”

Credetemi, da questo articolo di 50 giorni fa, non ho riletto altro in merito e quindi se ignoro nuovi sviluppi è solo una mia mancanza, ma sapere che :

  • la palazzina della Cadorna ha un suo pregio 

(però a differenza di Icastica non ha trovato fior di difensori)

  • oltre che quel filo di memoria che attraversa tante generazioni.

(a questo punto proporrei un bel parcheggio  al posto dell’ Anfiteatro romano, lì la memoria che attraversa le generazioni è sicuramente più flebile e in più è già alberato e provvisto di  arredi urbani).

Ecco il cosiddetto filo della  memoria:

CAMPAGNE DI GUERRA E FATTI D’ARME

Prima Mondiale (1915-18):

– 1916: M. Zebio (lug.) – Monfalcone (ott.)

– 1917: Monfalcone: q. 77 , q.57, Viadotto di Duino, Flondar, Hermada (mag.-ago.)

– 1918: Basso Piave – Capo Sile (giu. ott.)

Africa Orientale (1935-36):

– 1936: Scirè (feb.-mar.)

Seconda Mondiale (1940-43):

– 1940-41: fronte greco-albanese: M. Ivanit, Guri Kamias, Pleu i Kieve, Alta Valle Skumini

– 1942-43: Albania: compiti di presidio

RICOMPENSE ALLA BANDIERA

Ordine Militare d’Italia – Decreto 31 dicembre 1920

“Nei duri cimenti della guerra, nella tormentata trincea o nell’aspra battaglia, conobbe ogni limite di sacrificio e di ardimento; audace e tenace, domò infaticabilmente i luoghi e le fortune, consacrando con sangue fecondo la romana virtù dei figli d’Italia (1915-18). (All’Arma di Fanteria).

Ordine Militare d’Italia – Decreto 5 giugno 1920

Pari alla sua fama millenaria, espressione purissima di alte virtù guerriere della stirpe, si prodigava eroica, generosa, tenace in tutte le battaglie, dando prezioso contributo di valore e di sangue alla vittoria” (guerra italo-etiopica: 3 ottobre 1935 – 5 maggio 1936). (All’Arma di Fanteria).

Medaglia d’Oro – Decreto 5 giugno 1920.

“Attraverso una via di sangue, splendida di fede e di eroismo, sempre raggiunse e mantenne la meta assegnata al suo valore, negli aspri cimenti di radiose giornate di battaglia (Carso, quote 77, 57, 58, Linee di Flondar; Viadotto, 23-26 maggio e 4-5 giugno 1917; Piave, 16-24 giugno 1918).”

Medaglia d’Argento – Decreto 31 dicembre 1947.

“Durante sei mesi di cruenta lotta, in zona montana impervia, resa più aspra da un rigido inverno, fu senza tregua in prima linea, strenuamente fronteggiando il nemico preponderante di numero e di mezzi. Non il copioso sangue versato da innumerevoli Eroi, né il logorio fisico che sembrava aver raggiunto il limite di ogni umana resistenza valsero a fiaccarne la leonina baldanza. Dislocato in settore di alta montagna, fra eccezionali rigori alpini, ne fece baluardo insuperabile, balzando dalle trincee scavate nella neve ogni volta che il nemico tentò di superarlo. Quando, in un estremo disperato tentativo, l’avversario attaccò con forze triple, i fanti del 225°, benché ridotti negli effettivi e stremati dal lungo travaglio, rinnovavano se stessi nella luce del supremo dovere e, dapprima inchiodavano il nemico, indi, dopo cruenti contrattacchi, lo sbaragliavano, ponendo saldo piede sulle posizioni. (M. Ivanit – Guri Kamias – Pleu i Kieve – AltaValle Skumini, 15 novembre 1940 – 13 aprile 1941”.

Medaglia di Bronzo – Decreto 21 gennaio 1937.

“In giornata di aspro combattimento impegnato in terreno difficile ed insidioso, dopo aver attaccato col tradizionale valore ingenti forze nemiche che gli contendevano il passo, resisteva poi tenacemente e respingeva ripetuti violenti contrattacchi, rinnovatisi per circa venti ore consecutive, finché il nemico all’alba, abbandonava, vinto il campo della lotta (Battaglia dello Scirè, 2 – 3 marzo 1936).”)

“…anche quella di valorizzarne la funzione di piazza, con alberature, arredi urbani, mantenerne la funzione di cittadella degli uffici, ma rafforzandone l’appeal anche con un bar ristorante ne corpo di guardia”

Ci mancava solo questa, un bel bar ristorante nel corpo di guardia per rafforzarne l’appeal. Sembra che ce l’abbia con l’Autore dell’articolo, ma non è così, certe idee altrui faccio fatica a digerirle. In nome della modernità, negli anni passati sono stati fatti scempi o creati nuovi mostri. Per finire, visto che nell’articolo non se ne parla: ma il Monumento davanti la palazzina comando che fine farà? 

Mi auguro miglior vita di quello che stà facendo adesso, cioè cestino di cartacce e pisciatoio per cani a due e quattro zampe. Meritano più rispetto i giovani, i mariti e i padri che sono morti con le insegne di Arezzo sulla divisa.

1° quarto: arme di Arezzo, a significare il legame territoriale del Reggimento con la città della quale porta il nome fin dalla sua costituzione.

2° quarto: sullo smalto d’azzurro, simbolo di amor di patria e lealtà, la spada romana è emblema di grande gloria militare.

3° quarto: l’elmo di Scanderberg, eroe nazionale d’Albania, ricorda le imprese compiute dai fanti del Reggimento sul fronte greco-albanese nel 1940-41.

4° quarto: il leone d’Etiopia, testimonia la partecipazione del 225° alla campagna in Africa Orientale.

Il capo d’oro simboleggia la massima ricompensa al V.M. concessa alla Bandiera del Reggimento; nel quartier franco i “monti all’italiana” per ricordare il fronte ove maggiore è stato l’impegno del 225° durante la guerra 1915-18.

Concludo con una frase solita essere inserita dal Commissariato Generale alle Onoranze ai Caduti  – Onorcaduti:

“Sia di conforto sapere che mai potrà venire meno la riconoscenza e la memoria verso Chi ha donato la vita per la Patria”

               Basta come appeal?