Chi oggi arrivato a Vitiano, percorre una strada che dalla SR 71 si spinge sotto Poggio Ciliegio (Via dei Rossi, Via di Mezzo, Via degli Oppi), incontra una distesa di fertili campi, ben coltivati e piuttosto curati. Solo lungo le sponde del Rio di Cozzano e del Rio di Vitiano, nota delle macchie e delle piante d’alto fusto. Ma se scende da Poggio Ciliegio verso il Canale della Chiana, incontra un bosco, ultimo superstite delle grandi selve che dopo la caduta dell’Impero Romano e fino alla bonifica rinascimentale, ricoprivano queste aree.
Abbiamo parecchi documenti, del Comune di Arezzo, ma anche dell’Abbazia di Santa Fiora e Lucilla presso Torrita (Olmo – AR) o del Monastero di Camaldoli, che ci parlano delle selve che esistevano in questi luoghi: Frassineto, Vallagine, Agutolo, Teso e, oltre il confine con Castiglion Aretino (oggi Fiorentino), la Selva della Misericordia, quella di Brolio ecc.
È però con i Catasti tardo medievali che riusciamo ad avere un’idea più precisa di quale fosse la reale situazione di queste aree disabitate e boscate.
Per Vitiano il Catasto più antico e più dettagliato è quello realizzato dalla Repubblica Fiorentina tra il 1427 e il 1430.
Leggendo le centinaia di carte delle Portate e dei Campioni dei vari proprietari, troviamo dichiarazioni davvero illuminanti. Ad esempio, un discendente dei “Da Vitiano” – antichi proprietari del Castello (oggi La Torre) – Nanni di Tomaso di Ser Francesco, dichiara:
“ . . .dieci pezzi di terra alla corte di Vitiano al luogo detto Barbara a lato el Fusato Grosso del Fiume [di Cozzano]. . . le quali sono quasi sotto el letto del fiume e non si ne puono aiutare tanto so soprafatte da l’aqua. Per l’avenire non si può sperare averne quasi frutto. . .”
Il fratello del suddetto Nanni, Lazaro di Tomaso, dichiara:
“. . .un poderetto di più pezzi di terra tutto sodo. . .sono venti anni che non si lavora e nulla rende mai. . .”
Dichiara inoltre:
“. . .un poderetto nel Piano di Monticello di più pezzi di terra. . .tutto guasto perché d’inverno sta tutto allagato, di stato più anni per un fiume che lo alaga. . .”
Vi sono poi i figlioli di Martino, dei Lambardi da Mammi, residenti ad Arezzo e all’epoca proprietari del Castello di Monticello o meglio delle sue rovine (castellare). Essi, tra i tanti beni dichiarano:
“Una macchia grossa in detta corte voc. La Macchia a lato la Pieve di Monticello [i beni della pieve] e il nostro podere di Barbara capo di nostri prati descritti di sopra a lato il Prato del Rosso, il nostro prato de la Pesscina e selva del Comune di Castiglioni e pastura di CERVIe di bestie SELVATICHE non avemo ne spectiamo mai frutto perciò non ne facciamo stima ma raportiamo perché sia noto è nostra e punto lo daremo altrui che farne stima. Circa Staiora 150 a staio”
Barbara, che si trova nelle vicinanze del Candellone, è un toponimo che fa riferimento ad uno stanziamento di elementi esterni all’Impero Romano, “barbari” appunto.
Da queste e da altre dichiarazioni, oltre a venire a conoscenza che quei terreni erano coperti di selve e macchie, sappiamo che erano spesso allagati dal Rio di Cozzano e che vi abitavano CERVI e altre bestie selvatiche. Ma dai nomi dei proprietari di quei terreni ormai nel Quattrocento inutili (Lambardi, Albergotti, Da Vitiano, Sassoli, Tucciarelli, Bostoli. . .), ci accorgiamo che erano le famiglie più importanti di Arezzo e della zona ad avere il possesso di quelle vaste terre. Oltre alla Pieve di Monticello, che era nata nel periodo paleocristiano o nel primo Alto Medioevo, beneficiando quindi di donazioni da latifondisti della zona. Queste presenze ci testimoniano – se ce ne fosse bisogno – che prima di questo periodo di selve, acquitrini e bestie selvatiche, quei terreni erano fertili e ambiti.