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Sedes Materiea

Sarebbe curioso conoscere quanti Rigutinesi sanno che il vescovo di Arezzo, Mons. Giovanni Volpi, il 15 giugno 1911 pose la prima pietra sulle fondazioni di quella che sarà la Nuova Chiesa di Rigutino! La popolazione di allora, che con l’andare del tempo si era spostata in basso, a cavallo della statale 71, con unanime decisione stabili di costruire la Nuova chiesa in località Vigna della Lastra. Ci volle un bel coraggio! Oggi, in contrasto con i tempi di avanzata democrazia, simili decisioni vengono prese dall’alto e si parte solo con il finanziamento totale della spesa.

«Questa magnifica chiesa è come una bella signora sontuosamente vestita, ma senza le scarpe, invitando la popolazione a fare un ulteriore sforzo per il pavimento»

Dunque nel 1908 un Comitato di Rigutinesi, in rappresentanza di tutto il popolo, fermamente decisi alla costruzione, prese solenne impegno di versare il 2% dei prodotti agricoli, per tutta la durata dei lavori. Le opere murarie iniziarono, su progetto dell’Arch. Ghiandai, nel 1912. Si procedeva fra enormi difficoltà: nel 1914 I’Ing. Tavanti, subentrato al defunto Ghiandai modificò il progetto. Nel 1915, il crollo della navata centrale, per fortuna senza vittime, e l’inizio della guerra fermarono quasi totalmente i lavori. Ci si mise anche il terremoto che il 29 giugno 1919, provocò notevoli danni, ma non domò la tenacia dei Rigutinesi.

Il Ministero dei Lavori Pubblici (tanto per cambiare) non rimborsò i danni del terremoto ma l’offerta di £.10.000 inviata dal Papa Benedetto XV e quella giunta da Volterra da Mons. Mignone, eletto vescovo di Arezzo, dettero coraggio ai Rigutinesi, che ripresero i lavori con lena. Si lavorò sodo sotto la nuova guida tecnica dell’Arch. Castellucci e, nel 1924 Don Ferruccio Bigi iniziò ad officiare nella navata sinistra.

Nell’anno 1925, arriva da S. Vincenti, un paesano del Chianti senese, il nuovo Parroco Don Alfredo Barbagli. Il vescovo Mons. Mignone, che teneva con tutti i suoi sacerdoti, specialmente con i più lontani, una fitta corrispondenza, volle Don Alfredo a Rigutino: era giovane, 40 anni, pieno di entusiasmo ed in possesso di un “gruzzoletto” che gli avrebbe consentito di portare, finalmente, a termine la Chiesa.

Tutti ripresero nuovo vigore, si costituì un Consiglio Parrocchiale e il sor Agostino Sandrelli ne fu Presidente. Lo ricordo benissimo quest’uomo deciso, concreto. Doveva reperire i fondi, collaborare con il Parroco a seguire i lavori. C’era sempre quel 2% dei prodotti agricoli come base per le spese, ma se le annate non erano buone? Se i raccolti erano scarsi? “Se le cose van cusi, semo a galina” usava ripetere il Sor Agostino. Il 1929 non fu solo l’anno della grande recessione dell’economia americana e mondiale, ma fu anche quello del fallimento ad Arezzo della cosiddetta Banca dei Preti, e anche il povero Don Alfredo rimase a zero. Tutto sembrava essere di nuovo “a galina”. Ma le persistenti difficoltà non frenarono la forza di volontà di questa gente (quella stessa i cui antenati il 6 maggio 1799 al grido di “Viva Maria” avevano contribuito a mettere in fuga 4.000 polacchi inviati da Roma a dar mano forte agli invasori francesi).

Tutti si rimboccarono ancora le maniche e, finalmente, il 26 e 27 settembre dell’anno di grazia 1936, Mons. Emanuele Mignone, consacrò la Chiesa fra un tripudio di folla. Mancava solo il pavimento. Ricordo benissimo (ero già un baldo giovane ventenne) le parole del vescovo: «Questa magnifica chiesa è come una bella signora sontuosamente vestita, ma senza le scarpe, invitando la popolazione a fare un ulteriore sforzo per il pavimento».

Eccola la nostra chiesa: tre navate, lunga m.40; larga m.16; alta 17; abside poligonale coperta a volta a crociera, campanile alto m,36. Spesa totale £.357.000 senza contare le opere gratuite, consistenti in una infinita sequela di carri e barrocci di rena, di pietre, di mattoni, oltre a prestazioni spontanee di centinaia di persone.

Anche se la moda del tempo e il gusto dei progettisti abbiano imposto un falso gotico, la Chiesa ha nel suo interno altari e acquasantiere pregevoli opere in pietra dell’artigiano aretino Burroni, si presenta dignitosamente solenne e monumentale. Al di là di ogni altra considerazione, però, resta soprattutto, un monumento alla fede e alla tenacia di un popolo che la volle e la realizzò in quasi 30 anni di sacrifici, di lotte, di fallimenti, forse anche di disperazione ma nel corso dei quali non vennero mai meno l’amore e la speranza.

Mi sembra doveroso rendere reverente omaggio a due sacerdoti: Don Ferruccio Bigi che la ideò e ne segui i lavori dino al 1924. Don Alfredo Barbagli che dal 1925 in poi portò a compimento l’opera, dotandola a totali sue spese di una bella canonica
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